Guido Cossu

Fisico

Provenienza: 
Sassari
Risiedo: 
Tokyo
Tokyo 東京
Giappone

Guido Cossu

Fisico (Tokyo 東京)

Provengo da un piccolo paese dell’entroterra logudorese, Pozzomaggiore, dove ho vissuto sino ai tempi delle superiori. I luoghi mi sono ancora tutti familiari, anche se distanti nel tempo e soprattutto nello spazio.
La presenza della Sardegna è sempre stata una costante anche oltremare e, recentemente, oltreoceano. Il primo passo di allontanamento, virtuale alla fine, lo hanno portato i miei studi all’Università di Pisa. La scelta di Pisa è stata quasi naturale per uno che vuole studiare fisica, visti gli illustri precedenti della città nel campo. La dimensione della città è quella che ritengo ideale per muoversi senza una macchina, e in ottima posizione per viaggiare, passione che gareggia con la fotografia e tutto quello che gira intorno alle arti visuali. Pisa, inoltre, essendo importante città universitaria attira tradizionalmente molta immigrazione, che permette la creazione di numerose associazioni culturali regionali. Subito sono entrato in contatto con l’Associazione dei sardi “Grazia Deledda” di Pisa che, negli anni, è diventata un importante centro di promozione della nostra cultura e di interazione tra i molti sardi che vivono in Toscana. Gli eventi ai quali ho partecipato mi hanno mostrato quanto sia apprezzata una cultura per la quale avevo sentimenti altalenanti, nel periodo in cui la vivevo dal di dentro. E’ stato un cambio radicale di prospettiva; un tipico esempio di cliché sul distacco, che aiuta a comprendere meglio precedenti legami.
Il lavoro che sceglie chi studia Fisica, o quello di ricercatore in genere, porta a spostarsi frequentemente nel mondo, in particolare nei primi anni successivi a laurea e dottorato. Non solo è necessario per la formazione e le conoscenze, ma è anche auspicato per lo sviluppo di un network di contatti e collaborazioni.
Dopo il dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa ho preso al balzo l’occasione di una posizione in uno dei suoi più grossi centri di ricerca, vicino ad una delle città più difficili da descrivere che abbia mai visitato: Tokyo, Giappone, estremo oriente, circa dodici ore di volo dal più vicino aeroporto in Italia.
La letteratura sugli italiani in Giappone e il sentimento amore-odio per questo paese è fin troppo vasta. Io mi limito a registrare ogni giorno i mille difetti che non riescono a lambire il sentimento di meraviglia che ancora provo dopo quattro anni di vita in questo luogo che è diventata la terza casa. Il Giappone e’ necessariamente una terra che va vissuta con passione, altrimenti rischia di rimanere indigesta, per la sua distanza siderale dalle nostre abitudini. Questa passione continuo e continuerò a portarmela dentro, anche se mai per la mia carriera di ricercatore, dovessi in futuro lasciare questo paese.
Perché il Giappone? Sapevo che avrei trovato un ambiente con mille possibilità nel mio ambito professionale. Il mio lavoro è in poche oscure parole: fisico teorico delle alte energie, con l’ausilio di potenti supercalcolatori, che possono anche occupare edifici interi. In breve, con il team dei colleghi del KEK di Tsukuba, tramite l’uso di simulazioni al computer studiamo le proprietà delle particelle fondamentali che compongono il nostro universo, le loro interazioni e il loro comportamento in varie condizioni “ambientali”, sino al periodo immediatamente successivo al Big Bang. Gli stadi della ricerca, oltre all’intuizione fisica, richiedono le capacità tecniche di creare i programmi che dovranno eseguire, anche per mesi, i complessi calcoli che ci permettono di avere gli elementi per confermare o smentire le ipotesi di lavoro. La potenza di calcolo richiesta è enorme e i costi salgono di conseguenza. Approdare in Giappone per un lavoro che richiede computer di dimensioni importanti è molto naturale, essendo una delle “superpotenze” nel campo.
Vengo chiamato a far parte del progetto del Joint Institute for Fundamental Sciences per ottimizzare l’utilizzo dei supercalcolatori nell’ambito di vari campi scientifici e veicolare queste conoscenze tra i ricercatori del Giappone. Il progetto, legato al supercomputer K di Kobe, dura cinque anni e io ho aderito entusiasticamente. Questo mi ha permesso di mettermi a lavorare con più tranquillità sulla transizione ad un nuovo codice che abbiamo sviluppato insieme ad un collega e del quale sono il primo responsabile per la struttura e l’ottimizzazione. La mia passione per le due materie, fisica e informatica, ha fatto il resto e in questi anni avremo i primi risultati degli studi.
L’ambito scientifico, le connessioni, e i mezzi a disposizione per il nostro lavoro sono all’avanguardia, come lecito attendersi da una nazione come il Giappone.
La lingua, soprattutto quella scritta, è ancora a volte un ostacolo che comunque è superato grazie allo staff dei laboratori del KEK.
La Sardegna si è ripresentata anche in quest’isola così distante ma alla fine così simile. Circa due anni fa abbiamo fondato il primo circolo sardo di Tokyo, l’associazione Isola-Giappone (www.isolagiappone.com). Negli anni stiamo portando avanti, con entusiasmo, una serie di attività per mettere in contatto i due mondi, per aprire un ponte sino all’estremo oriente. Perciò abbiamo gioco facile a far appassionare i partecipanti agli eventi alla natura, alle lontane tradizioni della cultura sarda. Abbiamo parlato di cucina, grazie ad un ottimo ristorante sardo proprio a Tokyo, di carnevale, di musica e letteratura, con la presentazione di un autore sardo, recentemente tradotto in giapponese e portando un musicista a Tokyo. Il prossimo evento riguarderà il vastissimo capitolo dei costumi tipici.

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